Come togliere la coccardina da un atto per metterla dove vi pare
Ho voluto dare all’articolo questo titolo forte e provocatorio, solo per dare una risposta CHIARA e SECCA a chi (siano essi Cancellieri, Giudici o Avvocati) è ancora convinto che ‘la coccardina’ sia la riproduzione della firma digitale sulla stampa analogica (o cartacea).
No! Non è così.
La coccardina è SOLO un artificio grafico, un’interpolazione generata dal sistema informatico che governa il nostro processo civile telematico, che per sue impostazioni, aggiunge (ma soltanto nella copia informatica) a margine di ogni file trasmesso, una piccola coccarda rossa (cui segue un codice).
Ecco perché, per provocare, vi insegnerò davvero a togliere la coccardina da una pagina in pdf per metterla su una nuova copia… perché solo in questo modo potrò davvero dimostrare, che coccardina e firma digitale, sono due cose assolutamente diverse.
Quante volte abbiamo sentito le frasi:
1) avvocato, Lei deve portare la copia di cortesia con la coccardina, altrimenti è senza firma e non posso accettarla;
2) avvocato, sul margine non c’è scritto niente… la firma digitale dov’è? Non è valido!
La firma digitale, come si può comprendere dai significati delle due parole (firma + digitale) per come offerti da un qualsiasi vocabolario, è una sottoscrizione in ‘bit’, una firma elettronica, un segno che resta nel file, ed è pertanto invisibile sull’atto analogico, cioè sulla carta.
Una volta stampato (l’atto con firma digitale), la sottoscrizione digitale ‘sparisce’ non lasciando alcuna traccia visibile.
Ogni artificio stampigliato sull’atto, quindi, non ha alcuna validità, né rappresenta ‘un residuo della firma digitale’, in quanto risulta essere ESTREMAMENTE ALTERABILE con soli 5 minuti di copia/incolla, fatto con l’ausilio di un qualsiasi programma in grado di alterare (legalmente) i PDF.
LA STORIA
Il primo testo normativo a parlare della firma digitale, è stato il D.P.R. n. 513/1997, ossia il “Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a norma dell’articolo 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59”.
Un intero capo di questo regolamento (artt. 10-19) è dedicato alla ‘Firma digitale’ che nel PCT rappresenta la garanzia di paternità di ogni atto digitalizzato, e serve a dare al nuovo processo telematico, la stessa affidabilità dei protocolli antifalsificazione analogici (timbri, collazione, custodia del cancelliere, sottoscrizione, carta intestata, bolli, ecc).
Ovviamente, l’atto a firma digitale una volta stampato ‘perde’ queste proprietà antifalsificazione… che sono, quindi, visibili e pienamente operanti solo ‘nel mondo digitale’.
I protocolli antifalsificazione ‘analogici o cartacei’ sono diversi e consistono, appunto, in timbri a secco, marche da bollo, sottoscrizione manuale, carta intestata, filigrana, ecc.
Secondo il D.P.R. 513, la firma digitale è ‘il risultato della procedura informatica (validazione) basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente al sottoscrittore tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici‘.
Come si comprende leggendo la definizione di cui sopra, il sistema di chiavi asimmetriche a coppia, come protocollo antifalsificazione, opera solo nel mondo virtuale o digitale… sulla carta l’incrocio delle chiavi non è possibile.
Anche il successivo D.P.R. n. 123/2001 cioè il ‘Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti’, entrato in vigore nel primo giorno del mese di gennaio del 2002, definisce la “firma digitale” come il risultato della procedura informatica disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 513.
Il primo gennaio 2006 vede la luce il primo progetto codificatorio del mondo digitale, cioè il Decreto legislativo del 07/03/2005 n° 82, meglio conosciuto come codice dell’amministrazione digitale (o con l’acronimo di CAD).
Il CAD si occupa della firma digitale in molti articoli, come ad esempio:
– nell’art. 21 dedicato al documento informatico sottoscritto elettronicamente (che, se formato nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 20, comma 3, ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile);
– nell’art. 22, disciplinante le copie informatiche di documenti analogici contenenti, ad esempio, copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico (che se spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, sono considerati aventi piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del codice civile, purché ad essi sia apposta o associata, da parte di colui che ne spedisce o rilascia copia, una firma digitale o altra firma elettronica qualificata.);
– nell’art. 24, dedicato alla firma digitale, quale sottoscrizione riferibile in maniera univoca ad un solo soggetto e ad un solo documento, la cui apposizione integra e sostituisce quella di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente, purché non scaduta e/o revocata;
– nell’art. 25, disciplinante la firma autenticata elettronica dei notai o di altri pubblici ufficiali a ciò autorizzati, riconosciuta ai sensi e per gli effetti dell’art. 2703 del codice civile.
Nel caso in questione, però, la norma che più interessa, è l’art. 23 che si occupa di attribuire potere probatorio al documento analogico o cartaceo, in origine informatico (es. stampa di file) se la sua conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Il documento è, poi, utilizzabile anche giudizialmente sempre che la sua validità/autenticità non sia espressamente disconosciuta (nella versione originale, tutti i duplicati, le copie, gli estratti del documento informatico, anche se riprodotti su diversi tipi di supporto, erano validi a tutti gli effetti di legge, se conformi alle vigenti regole tecniche).
L’EQUIVOCO.
Tutti i files che trasmettiamo nel nostro fascicolo telematico, se sottoscritti digitalmente, sono originali informatici.
Questi documenti restano a nostra disposizione nel fascicolo telematico (nonché a disposizione delle nostre controparti e di tutti gli operatori del processo) e una volta pubblicati non possono più essere modificati: possono essere scaricati dal PDA infinite volte e saranno sempre in formato identico a quello originale.
Bisogna considerare che in informatica non esiste la distinzione tra originale e copia di un file: ogni download metterà sul nostro PC un esemplare perfettamente uguale del file che abbiamo scaricato.
Il ‘frutto’ di questo download (o scaricamento) è il ‘duplicato informatico’ che secondo l’art. 23 bis del CAD ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui è tratto, se prodotto in conformità alle regole tecniche di cui all’articolo 71.
Il problema (o meglio, l’equivoco) è sorto subito dopo l’entrata in vigore del PCT.
Per un breve periodo di tempo, il DGSIA aveva bloccato la possibilità di scaricare, dal PDA, l’originale dei file firmati da noi trasmessi cioè i ‘duplicati informatici’.
In quel periodo è stato possibile scaricare solo la COPIA INFORMATICA, che è una copia del file da noi firmato, ma senza la firma (ed infatti aveva ed ha esclusivamente l’estensione PDF e non PDF.P7M), con in più l’aggiunta grafica (interpolazione) ‘di una coccardina seguita da un codice’.
Sempre secondo l’art. 23 bis comma II CAD ‘Le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti regole tecniche di cui all’articolo 71, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto, l’obbligo di conservazione dell’originale informatico‘.
Quindi, proprio a causa di questo problema tecnico (si ripete: era possibile scaricare solo la copia informatica – mentre il duplicato, cioè l’originale, veniva ingiustamente ‘segregato dal sistema’), noi avvocati siamo stati costretti a notificare COPIE INFORMATICHE dei nostri files, previa attestazione di conformità (v. comma II art. 23 bis CAD).
Se, invece, notifichiamo UN DUPLICATO INFORMATICO (cioè l’originale che, al contrario della copia, è SPROVVISTO DI COCCARDINA), l’attestazione di conformità non serve!
Ed infatti non si può attestare la conformità di un originale… semplicemente perché è l’originale!!!
Da qui la deduzione che la coccardina sul pdf della copia informatica (che per un periodo è stata l’unica scaricabile), se stampata, possa garantire la piena corrispondenza dell’atto cartaceo con l’originale del file presente nel fascicolo telematico.
Nulla di più sbagliato!!!
COME TOGLIERE LA COCCARDINA
Passiamo alla pratica, facendo una preliminare deduzione logica: se è vero che la coccardina è la firma digitale riprodotta su carta, cioè un protocollo di antifalsificazione che vale anche per il cartaceo, allora nessuno potrebbe essere in grado di alterarla.
Per modificarla, invece, basta poco.
Vi serve solo un programma in grado di aprire e manipolare un pdf.
Possiamo usare, ad esempio, ILLUSTRATOR che la casa produttrice ADOBE (la stessa che ha realizzato ACROBAT) nella versione CS2, offre gratuitamente (http://blog.html.it/08/01/2013/photoshop-cs2-gratis-i-link-per-scaricarlo/).
Il programma è assolutamente LEGALE.
Anche la manipolazione del file è legale, perché a mio avviso, la copia di cortesia NON DOVREBBE ESSERE DEPOSITATA DAL DIFENSORE, MA STAMPATA DAL MAGISTRATO O DAL CANCELLIERE, ovvero, al massimo, per scongiurarne la falsificazione, dovrebbe essere fornita con sottoscrizione REALE dell’avvocato (apposta, cioè, manualmente ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 CAD).
Nella figura che segue, nell’area di lavoro di illustrator, viene visualizzata la prima pagina di una memoria da me depositata nel fascicolo telematico e scaricata in copia informatica (infatti ha la coccardina).
Basta selezionare con lo strumento PUNTATORE, tenendo premuto il tasto MAIUSC, sia il testo che la coccarda, per poi trascinare tutto fuori dalla pagina.
Come vedete il testo e la coccarda non sono più nella pagina (v. figura in basso).
A questo punto potete modificare il testo della comparsa a vostro piacimento, per poi apporvi addirittura il codice e la coccarda dell’avvocato di controparte, prelevata da un suo file precedentemente caricato nel fascicolo telematico e scaricato dal PDA come copia informatica… infine stampate tutto e depositate l’atto come copia di cortesia.
A questo punto pensate ancora che la stampa con la coccarda sia la vera riproduzione analogica del file da voi trasmesso nel fascicolo telematico?
Pensate ancora che la stampigliatura della coccarda sulla carta, possa dare garanzie di corrispondenza tra la stampa dell’atto e l’originale digitale trasmesso?
Questo articolo ha esclusiva finalità provocatoria.
Non vuole essere un vademecum per imbrogliare, né un’istigazione a farlo.
Insegna solo che di fronte ad un cancelliere ed un giudice poco ‘informatizzati’, anche il più becero degli imbroglioni con qualche nozione di computer grafica, potrebbe causare effetti devastanti per le controparti oneste ed in buona fede… specialmente se, poi, né il cancelliere, né il giudice (perché ingannati dalla coccarda) si preoccupano di controllare se ‘la copia di cortesia’ depositata, corrisponda effettivamente alla versione caricata nel PDA.
PS. Ovviamente l’operazione si può fare anche con una fotocopiatrice…