Un po’ di chiarezza sul D.Lgs 231/01 – Contributo dell’Avv. Gianluca Savino

REGIONE CALABRIA – OBBLIGO DI ADEGUAMENTO AL D.LGS. 231/11
per enti pubblici economici, fondazioni regionali e società controllate dalla Regione

Perché conviene adottare un sistema di adeguamento al D.Lgs 231/01

La Regione Calabria, già a partire dalla legge n. 60 del 4/12/2012, ha reso obbligatoria l’adozione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D.lgs. 231/01 per gli enti pubblici economici dipendenti e strumentali della Regione, con o senza personalità giuridica, per le fondazioni costituite dalla Regione, per le società controllate dalla Regione.
Il mancato adeguamento ai modelli organizzativi di cui al Decreto comporta la sospensione della erogazione di contributi, trasferimenti, risorse a qualsiasi titolo erogati dalla Regione (art. 3, comma 2).

Ma a cosa si fa riferimento quando si parla di adozione di modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D.lgs. 231/01?

Che cos’è il D.lgs. 231/01?
Per rispondere adeguatamente a tali interrogativi bisogna prima di tutto comprendere la ratio stessa che ha ispirato l’impianto normativo del D.lgs. 231/01. Per fare ciò sarà opportuno passare in rassegna, seppur brevemente, alcuni principi costituzionali ed alcuni capisaldi del diritto penale sostanziale.
L’articolo 27 della Costituzione recita: “La responsabilità penale è personale”, attribuendo, in tal modo, la responsabilità della condotta penalmente rilevante al solo soggetto agente.
Tutto l’impianto del diritto penale si basa sulla responsabilità personale della persona fisica ed i casi di responsabilita’ oggettiva (ossia per un fatto commesso da altri) sono assolutamente tipici e rivestono carattere eccezionale.

Nel caso di soggetti apicali che dirigono una azienda/società possono tuttavia manifestarsi due diversi tipi di condotta penalmente rilevante: da un lato, quella del rappresentante che sfrutta la propria posizione per raggiungere un vantaggio personale indipendente o addirittura contrastante con gli interessi della società, e da altro lato quella del rappresentante che realizza una fattispecie di reato perchè necessaria alla società stessa ovvero per consentire di ottenere maggiori proftti.
La differenza tra i due casi è evidente: nell’un caso il soggetto agisce quale singolo, nel secondo caso agisce quale finalizzatore della volontà dell’ente.
Nello schema tipico del rapporto penale autore-reato, l’ente non potrebbe mai considerarsi “colpevole” poiché opera attraverso l’attività di (altri) soggetti (diversi da esso), persone fisiche, e ciò fa venire meno in tal modo il presupposto di punibilità ovvero il rapporto tra condotta ed evento.

C’è poi un altro aspetto da tenere in debita considerazione ed è quello di cui al brocardo nulla poena sine culpa, ovvero la finalità rieducativa cui tende la pena. Orbene, anche da questo punto di vista sembrerebbero esserci problemi nel configurare una responsabilità penale di una persona (giuridica) che per sua stessa definizione non appare suscettibile di alcun ravvedimento o rieducazione.
Tuttavia l’ente manifesta esteriormente le proprie attività attraverso i suoi rappresentanti di vertice, i quali, nelle loro azioni od omissioni pongono in essere talvolta condotte idonee a configurare reati. In tali casi viene coinvolta la responsabilità penale della stessa persona giuridica.

Il presupposto è il seguente: l’ente è portatore di interessi e, in quanto tale è in grado di esprimere la propria volontà e di realizzare atti giuridicamente rilevanti. Talvolta, i fatti e gli atti compiuti dai c.d. organi apicali delle società configurano condotte rilevanti sotto il profilo penale integrando e completando l’indagine anche dal punto di vista soggettivo, ovvero sulla sussistenza di una finalità dolosa o colposa (in quest’ultimo caso operando attraverso l’imputazione oggettiva del reato all’ente, il quale, colposamente viola una norma per trarne beneficio pur non desiderando la verificazione dell’evento).

Come è possibile allora che l’Ente possa rispondere “penalmente” di tali condotte?
La risposta fornita dal Legislatore è stata quella di attribuire all’ente una responsabilità non di tipo penale vera e propria bensì di natura amministrativa.
Con il Decreto Legislativo dell’08/06/2001 n° 231, G.U. 19/06/2001, “Responsabilità amministrativa delle società e degli enti”, il Legislatore ha previsto che, in tutte le ipotesi di condotta “tipica” di reato, consumato (o tentato) da un soggetto in posizione funzionalmente collegato ad una persona giuridica, se quest’ultima ne trae un vantaggio o un interesse, alla responsabilità penale dell’autore del reato si aggiunge una responsabilità, personale, dell’ente, per non aver posto in essere misure preventive in grado di prevenire ed impedire la commissione del reato. Si parla difatti, in questi casi, di reato presupposto da cui provengono denaro, beni o altre utilità.
Grava, in altre parole sull’ente, un generale obbligo di prevenzione di alcuni reati da attuare mediante un’autoregolamentazione idonea a impedire o ridurre il rischio di verificazione dell’evento criminoso.
Tale costruzione giuridica ha consentito al legislatore di poter far rispondere penalmente l’ente non per il fatto (doloso o colposo) di un altro, ma per una colpa diretta, derivante dalla mancata organizzazione interna.
Si è voluto dunque affrontare il tema partendo dalla ratio della legge proprio per comprenderne l’ossatura portante. Ma in che cosa consiste l’adozione di un sistema di adeguamento al D.Lgs 231/01?

Innanzitutto, è appena il caso di ricordare che, nel Decreto, non vengono indicate le modalità e le tecniche di adeguamento, prevedendo lo stesso, solo l’elencazione dei reati che ricadono sotto di esso e le relative sanzioni. Creare quindi un modelli di adeguamento appare quindi un compito particolarmente arduo per chi si approccia alla materia senza la necessaria competenza.
Il principale adempimento da adottare per evitare l’applicazione delle sanzioni previste dal D. Lgs. 231/01 nell’ipotesi di violazione dei reati elencati negli art. 24 e 25 del Decreto Legislativo, consiste nell’elaborazione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (comunemente detto “Modello Organizzativo”) idoneo a prevenire la commissione dei reati stessi.

Tale Modello di solito si compone di una parte generale, che inquadra l’ente e le sue attività a rischio, una parte specifica, che fa riferimento alle procedure interne per prevenire la commissione dei reati, una pianificazione delle attività e, infine, una parte ultima che comprende la descrizione della procedure di informazione e formazione continua.

Tuttavia il punto di partenza di tutto ciò non può non essere la predisposizione di un Codice Etico Aziendale, vera fonte di ispirazione del Modello, in grado di determinare il rispetto delle leggi e dei valori morali.

L’adempimento al Decreto comprende inoltre la creazione di un Organismo di Vigilanza, che è organo decisionale dell’azienda, formato da rappresentanti interni ed esterni all’Azienda.
In ultimo vi deve essere un Sistema Disciplinare che ha ad oggetto l’applicazione di sanzioni di gravità crescente in base al tipo ed alla reiterazione delle violazioni.

A chi e perché conviene un sistema di adeguamento al D.Lgs 231/01?
Oltre ad evitare il rischio della sospensione della erogazione dei contributi, dei trasferimenti e delle risorse, a qualsiasi titolo, erogati dalla Regione per enti pubblici economici, fondazioni regionali e società controllate dalla Regione, l’adozione di un Modello Organizzativo conforme al D. Lgs. 231/01 è vivamente consigliato per tutte le aziende.
Adottando tale sistema, infatti, si possono ridurre al minimo le possibili violazioni di legge e, in ogni caso, nelle ipotesi di accertata violazione di legge, si può dimostrare la propria estraneità ai fatti e quindi eventualmente essere passibile di sanzioni molto ridotte o addirittura nulle, avvalendosi della condizione esimente prevista dal Decreto stesso.
Vi è in ultimo da segnalare che l’adozione di un Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231/01 è condizione di ammissibilità in molti Bandi di Gara.

Avv. Gianluca Savino.

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Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Messina nel 2001. Ha svolto la pratica forense presso lo Studio Legale Provenzano in Cosenza, conseguendo l’abilitazione nel 2003. E’ iscritto all’albo dei Conciliatori presso la Camera di Commercio di Cosenza ed è attualmente Conciliatore presso lo stesso Ente. E’, altresì, iscritto nell’albo degli Arbitri presso la Camera Arbitrale ‘C. Mortati’ della CCIAA di Cosenza. Il suo nominativo è presente sia nell’albo dei difensori di ufficio che in quello del gratuito patrocinio per i non abbienti (nella sezione diritto civile). Si occupa prevalentemente di processo telematico, diritto civile, fallimentare, separazioni e divorzi, appalti, infortunistica in generale, recupero crediti ed esecuzioni, diritto tributario, consulenza specialistica ad imprese.