Il giudice, per determinare l’importo dell’assegno divorzile, non è obbligato a disporre investigazioni patrimoniali. L’esercizio di questo ingerente potere di indagine, che di solito viene svolto per mezzo della polizia tributario, è, quindi, meramente discrezionale.
Il giudice, perciò, può ANCHE DECIDERE sulla base delle prove acquisite durante la fase istruttoria del processo, sempre che siano complete.
A ricordarlo è stata la sesta sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza numero n. 22568/2013, che sulla scia della precedente decisione n. 2098/2011, ha stabilito che “in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice che, ai sensi dell’art. 5, comma IX, della L. 898/1970, può disporre d’ufficio o su istanza di parte indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova“.
L’accertamento, quindi, “non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata“.
Con tali motivazioni la Cassazione respingeva il ricorso di un ex marito contro la decisione del giudice di primo grado che, dopo la pronuncia cessazione degli effetti civili del matrimonio, attribuiva alla moglie l’assegno divorzile, senza che la stessa ne avesse formulato esplicita richiesta.
Il giudice, infatti – continua la Corte – ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una diversa forma, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio.
Quindi, basta la semplice richiesta della ex moglie volta ad ottenere il riconoscimento della somma percepita in sede di separazione, per ottenere l’assegno divorzile, senza necessità di formulazione espressa.